Pazientemente reporter
La citazione che segue è tratta dal racconto di Clifford Geertz sull’irruzione in un villaggio balinese che, come antropologi, lui e sua moglie intendevano studiare.
[…] Eravamo degli intrusi di professione, e gli abitanti del villaggio ci trattavano come sembra che i balinesi trattino le persone che non fanno parte della loro vita, ma che si inoltrano tra di loro: come se non esistessimo. Per i balinesi, e in certa misura per noi stessi, eravamo non-persone, spettri, uomini invisibili…
Quasi nessuno ci salutava, ma nessuno ci diceva neppure qualcosa di sgradevole nè ci faceva smorfie, il che sarebbe stato quasi gratificante. Se osavamo avvicinarci a qualcuno questi si allontanava con indifferenza ma anche con determinazione. Se riuscivamo ad intrappolarlo seduto od appoggiato ad un muro, non diceva assolutamente nulla o borbottava quella che per i balinesi è la non-parola per antonomasia: “sì”.[…]
Una piccola parte di una grande esperienza che fa riflettere sulla difficoltà e la complessità di un’impresa come quella del reportage: perchè prima di raccontare una storia – spesso culturalmente lontana – bisogna prima entrarvici.
Armati di passione, umiltà, apertura all’ascolto e all’osservazione senza pregiudizi; ma anche di tanto tempo e soprattutto di molta, molta pazienza.
Post bellissimo 🙂 Spesso, quando si leggono a perdifiato le pagine di un reportage, ci si dimentica di tutto quello che c’è dietro e che non è riconducibile al puro stile di scrittura: la pazienza, la tenacia, l’assumere un punto di vista estraneo, il calarsi totalmente in un ambiente lontano dal proprio. E’ importante, secondo me, valorizzare tale lavoro e tu l’hai fatto benissimo!